Sfidando il caldo e il periodo ancora di ferie, nel giardino della Libreria Masone, non ci si lascia sfuggire il passaggio in terra sannita di una rappresentanza del Centro territoriale Mammut di Scampia, riferimento nazionale per la ricerca e azione pedagogica.
L’occasione è la presentazione de L’A.PE. – liberazione attraverso la pedagogia – rivista che è esperimento di scrittura collettiva, distillato di una riuscita sperimentazione di un anno e mezzo di pandemia.
L’introduzione è di Giovanna Megna, che il Mammut lo ha incontrato e mai più lasciato da dieci anni, e che racconta della capacità di modificare profondamente il territorio, primo tra tutti quello della famosa piazza di Scampia, sottratta alle siringhe e agli stereotipi e restituita alla città, ma anche di innovare la scuola, con un’operazione “dal di dentro”, attivando centinaia di docenti, alunni e famiglie, grazie anche al determinante sostegno della sannita Fondazione Affinita.
Giovanni Zoppoli inizia a parlare citando Colin Ward, architetto e urbanista, padre del pensiero radicale e non è un caso, perché la scuola è una questione politica. E poi Freinet, Dewey, Montessori, don Milani e i grandi della pedagogia attiva, definiscono i punti di riferimento nel quale si muove, da oltre venti anni l’attività di Zoppoli e del suo gruppo, partendo dai campi rom di Napoli e Bolzano, poi a Scampia, ma senza il pietismo delle periferie, realizzando connessioni tra quel territorio e le zone “bene” di Napoli, poi con un respiro che diventa sempre più nazionale.
La provocazione per i tanti docenti e presidi presenti, è chiara: perché se da anni studiamo la pedagogia attiva appena posiamo il piede a scuola ce ne dimentichiamo? Perché il sapere deve passare dalla scolarizzazione mortificante e dal trasferimento unidirezionale di concetti? Perché nonostante i progetti di educazione civica e l’insegnamento della democrazia, ci ostiniamo a mantenere un impianto sostanzialmente fascista della scuola?
E qui l’edilizia si mescola con l’educazione, la scuola con il territorio, che diventa agente educativo, nell’urgenza di abbattere i muri e far sì che l’aula diventi la città e viceversa, superando la segregazione che rimanda troppo all’idea di un carcere.
Non è possibile pensare che si possa fare educazione mortificando nel corpo e nella mente gli alunni; non si tratta di una posa newage, ma di un dato consolidato delle neuroscienze e di usare le chiavi del benessere e della salute integrale per accedere alla memoria di lungo termine, lì dove si sedimentano le esperienze dense di emotività e di senso.
La scuola e la città non godevano di ottima salute neppure prima, ma l’emergenza sanitaria ha posto noi tutti avanti l’improcrastinabilità di scelte di campo, che oggi non sono solo necessarie, ma anche indispensabili. La pericolosità virale di fare lezione ammassati per molte ore dietro un banco può portare alla progressiva digitalizzazione della relazione educativa oppure alla diffusione di pratiche didattiche finora minoritarie come quelle della scuola in città e in natura.
Zoppoli, con la sua ostinata positività, vede proprio in questo periodo una grande opportunità, che è trasfusa nel “Come Fare di Necessità Virtù”, domanda metodologia alla base della ricerca azione di questo anno e mezzo di pandemia, che ha portato la scuola fuori dall’aula. Certamente è necessaria una formazione per portare una classe nel bosco, sono necessarie risorse, non straordinarie del progettificio, ma strutturali, e la possibilità di fare, senza l’assillo paralizzante di burocrazia e carico eccessivo di responsabilità per i dirigenti.
Angelo Moretti racconta l’esperienza sul territorio dei Budget educativi, strumento di welfare personalizzato che ha consentito, durante la pandemia di rintracciare circa 80 studenti dispersi e di dare loro una occasione per riconnettersi alle lezioni e al gruppo classe attraverso le Aule digitali diffuse che, a gruppi di sei studenti, hanno ospitato gli adolescenti disconnessi dalla DaD. Caritas, terzo settore, una scuola di teatro, librerie, associazioni sportive: in tanti hanno reagito andando incontro agli studenti dispersi facendoli rientrare “in classe”.
Tutto questo, ha concluso Moretti, anche grazie al Patto educativo territoriale promosso da Civico22 e al quale hanno aderito otto Istituti scolastici e tante associazioni che si sono assunti la responsabilità di ricucire questo divario tra scuola pubblica negata e territorio privato inaccessibile a chi è in situazioni di povertà educativa.
A fine serata è poi nelle testimonianze delle docenti, di Scampia e di Benevento, che si cerca di mettere in condivisione i tentativi di buona scuola, affinché diventino patrimonio comune su cui costruire. Qui l’obiettivo della mescolanza e di gettare semi mammuttiani in terra sannita viene raggiunto, ci si scambia nomi e numeri di telefono e si costruiscono già gruppi di lavoro per un futuro molto vicino.