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“L’ingegnere di Zaporizhzhia lo ascoltiamo in tre, più volte e in più giorni. La comunicazione si interrompe spesso: per problemi di rete, o per non farsi scoprire. Alcune volte parla a voce, altre preferisce inviare documenti e immagini. L’ingegnere sa bene che dal momento della pubblicazione la sua vita e quella dei suoi familiari è in pericolo, ma così vicini al punto di non ritorno ha deciso di andare avanti. Quando cita l’impianto, lo fa come si trattasse di un luogo sacro. Usa la maiuscola, lo chiama semplicemente “la Centrale”. «La situazione era drammatica, ma a farla precipitare sono i bombardamenti mirati da parte degli occupanti russi», esordisce. Spiega: «All’inizio, a qualunque mente sana questa ipotesi sarebbe apparsa come un puro delirio suicida. Ma è successo questo: una specie di “auto-fuoco”». Il perché lo ha capito ascoltando dall’interno: «I russi sono rimasti impressionati dall’enorme risonanza mediatica dell’attacco ucraino alla zona della città di Energodar e alle vicinanze della Centrale, e si sono detti che avrebbero provveduto loro a mantenere alta quell’attenzione internazionale, e a imputare all’Ucraina le successive bombe contro le strutture dell’impianto».

«Noi in ostaggio di Mosca»

La vita all’interno è un incubo costante. Le esplosioni nei pressi dell’impianto vengono messe a segno ad orari regolari, così da organizzare i lavoro dei tecnici di conseguenza. «Di norma il personale del turno mattutino (7-15) esce più tardi del necessario, perché è alle 14 che iniziano i bombardamenti. La stessa storia – riferisce l’ingegnere – vale per il personale serale (15-23). Succede così che i lavoratori si espongono al pericolo semplicemente venendo o uscendo per il cambio di turno». «Tutti siamo in ostaggio delle situazioni più inaspettate, perché gli attacchi più accaniti dei russi vengono effettuati proprio durante la permanenza del maggior numero di personale. Tutto ciò ha fatto sì che un numero molto elevato di dipendenti ha lasciato Energodar nelle ultime settimane». Non c’è altro d’aggiungere, a parte un avvertimento: «Questo è il punto critico, perché una stazione povera di personale – osserva alla fine – è una grande bomba a orologeria».
Mentre pensiamo che la vita sia tutta in una campagna elettorale o nel costo delle nostre bollette e dei nostri consumi, proviamo a connetterci un attimo con chi anche oggi resterà consapevole sul fronte di una guerra non cercata, a schivare i colpi di chi vorrebbe trascinarla in un conflitto nucleare. Sono uomini che oggi con la loro responsabilità stanno difendendo l’umanità dal disastro rischiando in prima persona, sono giornalisti che non smettono di avvisarci che la campana suona anche per noi e dobbiamo svegliarci.
Gli Europei dovrebbero essere tutti fisicamente in Ucraina questa estate, a difendere l’umanità come possiamo, da una sciagura che se dovesse essere evitata lo si dovrà solo a pochi coraggiosi, se diventasse reale sarà per la responsabilità di moltissimi.