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Abbiamo un salotto in pietra straordinario che, da un lato ci consente di passeggiare vedendo il Taburno e, dall’altro, ci fa attraversare le tante stratificazioni storico-culturali di Benevento, a partire da quella pontificia di Piazza Orsini, passando per l’obelisco con il richiamo a Iside, l’Archivio di Stato, il museo delle Streghe, l’affaccio improvviso sull’Arco di Traiano, i portici del Teatro Comunale, fino ad arrivare al cuore del patrimonio Unesco con la Chiesa di Santa Sofia e con i musei più importanti della Provincia e, per certi aspetti, dell’intera Campania: il Museo del Sannio ed Arcos, il secondo museo egizio di Italia, dopo quello di Torino.

Nel dedalo di vicoli si nascondono San Vittorino, il Conservatorio, il Teatro De Simone, l’Hortus Conclusus, il Teatro San Nicola, scorci improvvisi di bellezze antiche e nuove come via Verdi, il Vico Noce, la piazza Piano di Corte, i portici di Piazza Roma, fino alle scalette di Porta Rufina che ci aprono una porta magica al resto della città, mentre, sul fronte opposto, dall’Arco si scorge Sant’Ilario. I palazzi che costeggiano il corso spesso sono così eleganti ed imponenti da essere loro stessi monumenti, come l’Ex Seminario, il palazzo Paolo V, la Biblioteca Provinciale, il palazzo Andreotti Leo, il palazzo Collenea, i palazzi che circondano piazza Roma e tanti altri.

Eppure tutti avvertiamo la mancanza di un concept unitario, tutti sentiamo che il Corso Garibaldi – l’arteria centrale a cui siamo emotivamente legati come il cuore della nostra città – non brilla di luce propria. Da un lato, lo ritroviamo spesso aggredito dall’incuria di noi beneventani, deturpato da lattine e bottiglie di plastica lasciate in ogni dove. Dall’altro, è abbandonato dalla sciatteria delle amministrazioni: fioriere divelte mai sistemate, cestini sporchi ed insufficienti, eventi sempre più frequenti basati su bancarelle e gastronomie varie. Tutti i teatri sono chiusi ed abbandonati al loro destino come stelle del passato. Tante le vetrine vuote e arredate con una sola scritta, “fittasi”, tante altre riempite dalle insegne luccicanti di un manipolo di macchinette self-service “H24”, come ferita mortale alla prima arteria della socializzazione e del commercio.

La vitalità maggiore al Corso Garibaldi, in tempi non di Covid, l’ha data certamente l’Università con il suo sciame di studenti e docenti che circolano nei giorni feriali tra Piazzetta Vari, Piazza Guerazzi e Piazza Roma, e la fatidica movida del fine settimana, con le vinerie quasi sempre affollate e nuovi locali che nascono nei vicoli. Ogni cinque anni, infine, si propone qualcosa per rivitalizzare l’abbandono totale in cui versa l’Hortus Conclusus, un mantra di promesse per pulirsi la coscienza contro lo scempio di un cavallo donato a cui si è chiusa la bocca. Ed in tutto questo il corso è un via vai di mezzi autorizzati mentre permane il divieto delle biciclette.

𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞?

Una nuova visione urge. Il nostro centro storico dovrebbe diventare l’arteria di una città antica del terzo millennio che cura le radici ed è aperta al futuro che l’Università del Sannio spiega e racconta, dovrebbe congiungere le vinerie con i teatri, restituendo una fruizione culturale quotidiana oggi totalmente assente, dovrebbe far convivere la mobilità urbana sostenibile del ventunesimo secolo con la sicurezza, dovrebbe poter godere di spazi musicali open air durante il pomeriggio, connettendosi ai tanti talenti del Conservatorio, dovrebbe poter riempire quelle vetrine non solo di nuovo commercio di prossimità ma anche di sevizi innovativi, come gli spazi coworking.

La nostra idea è che il Corso, in connessione con la nostra Università, possa divenire uno spazio visibile e riconoscibile di nuove start-up e di gruppi di lavoro, come i team di ingegneri informatici, di ingegneri dell’automazione, di economisti, progettisti, che condividano una sede dove far nascere idee di impresa, non in un ufficio nascosto al terzo piano di un palazzo ma fronte strada, perché quelle idee, quella energia promanata dai gruppi di lavoro, possa diventare bellezza attrattiva per la città, come accade a Düsseldorf o Rotterdam, dove gli spazi coworking di giovani al lavoro su progetti innovativi sono nelle vie centrali, dove un corso di cucina si svolge tra le vetrine del centro, dove anche un piccolo concerto si tiene in un locale fronte strada. In questa città stava funzionando tutto, ma tutto era frutto di proposte della società civile che poi non sono diventate mainstreaming, non sono diventate politiche stabili, come “Molliche”, “Universo Teatro”, i Concerti nei cortili, il Bab Festival (Burattini a Benevento), la nostra gloriosa Città Spettacolo, con i teatri pieni e con i film trasmessi nei giardini della Rocca dei Rettori e centinaia di persone sedute per assistervi. Dobbiamo innovare, immaginare nuovi servizi e nuove idee per il centro storico, ma anche valorizzare ciò che stava funzionando e che è stato interrotto senza motivo. Per uscire fuori dalla movida molesta dobbiamo mettere al centro un piano cittadino degli adolescenti e della cultura che abbia una chiara dimensione di senso.

Siamo la città dei teatri e della produzione di software, siamo la città della musica e dei cortili antichi, siamo la città del vino e delle colline che si intravedono guardando verso il Duomo, siamo una città il cui centro storico è attraversato da una diagonale immaginaria che congiunge una chiesa antichissima come Sant’Ilario a Ponte Leproso, uno dei ponti più antichi della Campania che sovrasta da secoli l’incrocio dei nostri fiumi, come solo in pochissime città al mondo capita. Senza una visione, senza un piano della cultura saremo oggetto di vandalismo perenne, perché a nessuno verrebbe da vomitare nel salotto buono di casa, a meno che non si è confuso il salotto con il bagno per le condizioni di abbandono in cui versa. Per ridare futuro dobbiamo avere del Corso Garibaldi una dimensione di senso e nessun senso migliore può essere se non quello di congiungere la socialità con la creatività.

Proviamoci!