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Il 30 ed il 31 maggio il corposo universo della nonviolenza attiva, della mediazione internazionale e della difesa civile si incontrerà a Roma per discutere del futuro della “Costruzione della pace in Europa. Da Sarajevo a Kiev”.

Si riparte da dove Alex Langer ha seminato, da quel monito “L’Europa nasce o muore a Sarajevo”, con cui lanciò la prima proposta dei corpi civili di pace europei e si riprende il cammino verso la capitale ucraina, la cui difesa è oggi al centro del dibattito mondiale e dell’attenzione europea.

Si riparte dalla nonviolenza che viene da est

Nel settembre 1956 il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, prima che l’artiglieria sovietica distruggesse il suo ufficio, trasmise un dispaccio per telex al mondo intero, che finiva così: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa!”. Tredici anni dopo Ian Palach, nella piazza San Venceslao, a Praga, decide di opporsi alla repressione sovietica dandosi fuoco e gridando ai medici “non sono un suicida”! Venti anni dopo la morte del giovane Ian, berlinesi in festa abbatterono e scavalcarono il muro che li aveva imprigionati per mezzo secolo, senza violenza. Venticinque anni dopo, nel 2014, quando un governo filorusso cerca di riportare l’Ucraina sotto l’egida della Federazione Russa di Putin, migliaia di studenti e di persone comuni occupano per mesi la loro piazza principale a Kiev, Majdan, e mentre resistono a mani nude agli attacchi della polizia intonano ripetutamente “l’Inno alla Gioia”, gridano il loro desiderio di appartenere al sogno europeo e di uscire per sempre dall’ incubo degli stati liberticidi e corrotti dell’ex URSS. Cento manifestanti in cinque mesi verranno uccisi dalla polizia filogovernativa, che in più occasioni spara ad altezza uomo contro gli occupanti inermi. Pochi giorni dopo la caduta del governo filorusso di Janukovic, la Crimea viene invasa dalla Russia di Putin e poco dopo anche il Donbass si infiamma, con truppe paramilitari filorusse che chiedono l’indipendenza dall’Ucraina e l’appartenenza a Mosca.

La storia del dolore e della sofferenza in Europa ci insegna che se siamo alla ricerca di uno spirito non violento del nostro continente non dobbiamo guardare ad ovest o nella Mitteleuropa, dobbiamo guardare a centro-est. È da lì, da quel desiderio soffocato e represso di libertà che si è forgiata una nuova coscienza, un nuovo spirito nonviolento europeo. La nonviolenza non è presente come spirito, nè tanto meno come pratica, nella Rivoluzione Francese, nè nelle guerre di indipendenza del risorgimento italiano, nella resistenza al nazifascismo, nella resistenza al franchismo. L’Europa ha affermato i suoi ideali ed ha forgiato le sue costituzioni vincendo in battaglia.

Ciò non significa che non sia maturata una forte coscienza nonviolenta nel vecchio continente, ma dagli anni ‘60 in poi la nonviolenza esercitata dagli europei dell’ovest è stata principalmente rivolta alla difesa “degli altri”, per la liberazione e l’emancipazione dei popoli delle ex colonie, contro la guerra di Algeria, contro gli abusi dell’impero americano in Vietnam, per fermare gli eccidi nella ex Jugoslavia, contro la leva militare obbligatoria, contro la violenza della finanza globale, per il disarmo globale, per l’accoglienza dei migranti. La nostra pratica nonviolenta si è forgiata contro il potere violento esercitato, all’interno ed all’esterno, delle stesse nazioni democratiche a cui apparteniamo. Da Lanzo del Vasta a don Tonino Bello, da Aldo Capitini ad Alex Langer, da Don Milani a a Gino Strada, dai movimenti pacifisti a quelli ecologisti, la nostra nonviolenza attiva è stata rivolta all’affermazione di una diversa visione del mondo e del potere, più giusto, più uguale, più inclusivo. Ad est invece la nonviolenza attiva consiste, ancora oggi, nell’esposizione del corpo nudo degli oppressi e delle città contro il metallo dei tank e dei proiettili, e si ripete ancora una volta in Ucraina, dove centinaia di azioni sono state messe a segno dai civili (leggi qui), soprattutto all’inizio del conflitto.

Tutte le vecchie bussole sembrano non funzionare più.

Di fronte all’imperversare della campagna di aggressione all’Ucraina della federazione Russa, queste vecchie bussole, sia quelle rivolte alla difesa “degli altri” a distanza, che quelle di reazione nonviolenta alla invasione armata, non sembrano funzionare più, e l’unico risultato della famigerata “deterrenza atomica”, è che sul terreno di battaglia all’esercito invasore si oppone un esercito ucraino con armi della Nato, cioè una Ucraina al fronte e un Occidente nelle retrovie, impegnato in uno scontro “indiretto”, in cui l’escalation nucleare, è tenuta bada – sulla base di una specie di accordo implicito segreto – dall’astenersi di attuare la no fly zone sui cieli di Kiev, mentre i bombardamenti dal Mar Nero e dalla Bielorussia sulle città ucraine si ripetono quotidianamente con la loro scia di vittime civili. Nulla è come prima nello scenario violento che abbiamo di fronte.

Quel che è certo è che gli ucraini, pur conoscendo il rischio atomico, vogliono opporre con le armi la loro resistenza all’invasore, ispirandosi agli europei del ‘45, per non fare la fine dell’Ungheria del ‘56. In questo quadro di regole internazionali disattese, di accordi segreti posticci, l’Europa, unione politica ed economica senza esercito, sembra non avere una chiara strategia diplomatica o di moral suasion, né prima di un conflitto, per evitarlo, né durante per fermarlo, né sembra avere un vero piano per gestire il dopo.

Primo appello. Conferenza del 30 maggio.

In questo quadro, chiediamo all’Europa di cui siamo e ci sentiamo fieramente cittadini, di riprendere le fila di una sua storia imperniata sullapacificazione riuscita tra stati membri che erano in perenne lotta tra di loro, e di ritrovare il coraggio di rilanciare la sua identità come continente e forza garante della pace al proprio interno e nel mondo. Un primo atto in questa direzione sarebbe l’istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei, da impiegare già adesso, in sede di negoziati per il cessate il fuoco e la ricostruzione della convivenza nei confini dilaniati in Ucraina, ma anche per offrire una nuova chance di gestione creativa dei confltti in ogni altra parte del mondo.

Non basta più aver pacificato il nostro continente se il Mediterrano è ridotto ad un cimitero, se i muri ed i fili spinati sorgono di nuovo, da Mellilla alla Grecia alla Polonia, passando per Ventimiglia e Calais, se l’est si infiamma mentre noi restiamo prigionieri di scelte energetiche sbagliate e scelte diplomatiche frammentate. In un’Europa in cui la spesa militare sale all’impazzata nei bilanci degli stati membri, è urgente parlare di nuovi inquadramenti giuridici e nuovi investimenti, culturali ed economici, in materia di “costruzione della pace”, nella prospettiva dell’ecologia integrale.

Il 30 maggio alle 16.00 presso l’Aula Sant’Antonio di via Merulana il Mean e la Pontificia Università Antonianum ne discuteranno con scienziati, politici ed attivisti. Aprirà il pomeriggio il professor Stefano Zamagni con una riflessione su “Fratellanza umana e diplomazia delle culture per una pace globale, seguiranno gli interventi di ospiti del calibro di Gaetano Visalli, della Cooperation Peace Accademy, Bernardo Venturi, direttore dell’agenzia per il Peacebuilding, Luisa Del Turco, direttrice del Centro Studi per la Difesa Civile, Edi Rabini, fondatore della Fondazione Alex Langer Stiftung, Marianella Sclavi, portavoce del Mean e docente di etnografia urbana e gestioe dei conflitti, Luigi Bobba, estensore della prima legge sui Corpi Civili di Pace in Italia, Massimiliano Costa, presidente Maesci, e tanti altri che stanno aderendo in queste ore.

Ci rivolgeremo poi alle forze parlamentari italiane, che sono tutte invitate a partecipare, per discutere con loro di come sostenere questa iniziativa sia nel parlamento italiano che in quello europeo, dove 22 europarlamentari sollecitati dal Mean hanno già avviato una interpellanza al Commissario degli affari Esteri, Josep Borrell, sul tema. Gli europarlamentari si sono anche impegnati ad organizzare una conferenza a Kiev per discutere della proposta di istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei, perchè è a partire da Kiev che gli stati democratici europei devono impegnarsi a dare avvio ad una nuova forma di europeismo e pacifismo moderno, un nuovo impegno che nasca dal dolore e dalla sofferenza a cui oggi è sottoposto un popolo che resiste ad una invasione, un’invasione ed un’escalation del conflitto che forse potevano essere evitate da dispositivi più adeguati alla realtà geopolitica che viviamo, se fossimo intervenuti per tempo.

Secondo appello. Conferenza del 31 maggio

In questo scenario di guerra inedito risuona ancora forte l’interrogativo di un anno fa di Marco Tarquinio dalle colonne di Avvenire: “Se l’Ucraina avesse scelto la forma di una grande resistenza civile, se ci fosse stato non Zelensky, ma Nelson Mandela a guidarla o Martin Luther King o Mahatma Gandhi capace di mobilitare milioni persone?”

Quella domanda secondo il MEAN, il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, va rivolta innanzitutto a noi stessi: se questa volta dall’Europa dell’ovest e del centro ci si muovesse in massa a difesa nonviolenta di un popolo aggredito, cosa accadrebbe? Se incontro ai tank ed ai droni ci andassimo in milioni di civili europei?

Pur essendo ben consapevoli che Mandela aveva come controparte De Klerk, Martin Luther King e Gandhi i governi degli Usa e la GB, e che il regime di Putin è tutt’altra cosa, riteniamo che quella della nonviolenza europea sia una strada da tentare, nella fiducia che se saremo davvero in tanti, aperti alla presenza del popolo russo e bielorusso, e delle loro bandiere, quella che Gandhi definiva “l’arma più potente”, la nonviolenza, sarà in grado di far sciogliere qualsiasi ghiacciaio , di rendere realizzabile qualsiasi “missione impossibile”.

Il 31 rivolgeremo questo invito a tutta la società civile italiana ed europea dal prestigioso auditorium della Pontificia Università Antonianum in viale Manzoni. Aprirà il pomeriggio il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi con il Nunzio apostolico a Kiev Monsignor Visvaldas Kulbokas.

Nel gennaio 1990 gli ucraini organizzarono una grande catena umana da Kiev e Leopoli per testimoniare la loro volontà di indipendenza dalla Russia e per chiedere democrazia, come accadde anche negli stati baltici, perchè questa volta non andiamo anche noi nonviolenti di Europa a costituire questa catena? Una catena umana della fraternità che sostiene l’indipendenza di quel popolo ed al tempo stesso afferma la supremazia della scelta della nonviolenza dei popoli uniti contro gli aggressori nella risoluzione dei conflitti.

Ne discuteranno Pinuccia Montanari, docente Diploma in ecologia integrale Pontificia Università Antonianum, Marco Bentivogli, portavoce Mean e fondatore BASE Italia, don Giacomo Panizza, Presidente Comunità Progetto Sud, Mean, Giuseppe Notarstefano, Presidente Azione Cattolica Italiana, Mariagrazia Guida, Presidente Reti della Carità, Gianluca Cantisani, Presidente MoVI, Mario Cucinella, Architetto, Tetyana Shyshnyak, Mean.

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