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Andiamo a Brovary per essere accanto alle fatiche di Sisifo degli ucraini e delle ucraine che, incuranti delle continue oppressioni, dei missili russi che continuano a cadere, hanno costruito con il nostro piccolo contributo una minuscola oasi di pace, per far giocare i bambini, per offrire uno spazio caldo agli studenti con stufe di ultima generazione e consentire alle famiglie di incontrarsi in un posto in cui l’elettricità non si stacca a causa dei vili attacchi alle centrali elettriche

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Andare nel cuore di un paese in guerra per inaugurare un “Peace Village”, mentre i fronti militari si contendono a suon di droni e di carri armati nuovi di zecca ed il popolo resiste all’invasione dell’oppressore, con ogni forza che gli rimane, può sembrare pura follia, un gesto naif, un momento dedicato al thè mentre la casa brucia. Innalzare una piccola città della pace con il rischio che quelle tre piccole casette possano essere distrutte in un batter di cannone può ricordare le fatiche di Sisifo, un grande sforzo per nulla. Al Peace Village hanno contribuito un pool di sei imprese donatrici italiane, un grande architetto, due università, per le spese necessarie al suo trasporto e gli acquisti dei generatori e delle stufe hanno contribuito diverse fondazioni e decine di associazioni e numerosi semplici cittadini. In totale una spesa di 130 mila euro circa. Per arredare le tre strutture abbiamo fatto le corse all’Ikea, come matti che hanno deciso di arredare una casa di 300 mq in un giorno, abbiamo finanche dimenticato dei mobili acquistati alle casse e siamo corsi a riprenderli per raggiungere lo spedizioniere che era già in viaggio per l’Ucraina.

Per i tempi lunghi che ci sono serviti, abbiamo “bucato” l’inverno, che volge ormai quasi al termine, anche se avevamo avviato il nostro progetto a novembre, per rispondere al grande freddo a cui è stata ed è esposta la popolazione civile. Ma allora a che serve tornare a Brovary, a venti chilometri da Kiev, come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta?

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Perché non è vero, Sisifo non faticava inutilmente. Ci doveva essere un motivo se ogni volta che quell’enorme macigno rotolava giù, egli era costretto a riportarlo su, risalendo la china da cui il masso era appena rotolato. Che Sisifo non ha mai lavorato invano, e che le sue gesta fossero in realtà un grande inno alla speranza, lo abbiamo appreso ancora una volta da loro, dagli uomini e le donne di Brovary che hanno costruito il loro villaggio in trenta giorni, instancabilmente, nonostante la neve, nonostante le sirene antiaereo, nonostante le terribili notizie dal fronte, nonostante la continua interruzione dell’erogazione di elettricità. Loro hanno continuato a costruire il loro “peace village”, senza mai prendersi una pausa, dal giorno stesso in cui i materiali sono arrivati in piazza della Libertà, nel cuore del centro abitato, fino ad oggi, impegnati a montare e sistemare quei mobili svedesi che spesso fanno innervosire il più mansueto degli europei.

A guardare questi uomini impegnati quotidianamente a costruire il villaggio abbiamo compreso ancora una volta cosa fosse la resistenza ucraina e quale spirito la ispira. Sergji ci ha mandato foto e video ogni giorno, Olexander ha rischiato di perdere il lavoro da magazziniere per seguire ogni tappa della costruzione, il sindaco di Brovary ha rischiato l’impopolarità nell’investire tempi e risorse della sua amministrazione per completare l’opera, il coach della locale palestra di pugilato ha saltato gran parte degli allenamenti di questo mese per seguire gli operai. Eppure il Peace Village non fermerà la guerra e non si vedrà come la Torre Eiffel dall’alto di un aeroplano, allora perché lo hanno fatto?

Perché la pace è una tessitura continua, non segue la logica del più forte e neanche del gesto più brillante, ma quella della speranza. Non conta quante volte i popoli perdono la pace per l’ingiustizia e l’empietà di altri uomini, tocca ricostruirla ancora. Charles Peguy nelle sue “visioni letterarie” raccontava di tre sorelle nel parco, fede, carità e speranza, in cui quest’ultima appariva come la più inutile e meno nobile delle due, eppure, scriveva Peguy, l’osservatore attento poteva scoprire che era proprio questa sorella più piccola, “la virtù bambina”, colei che trainava e spingeva le altre due.

Andiamo a Brovary per essere accanto alle fatiche di Sisifo degli ucraini e delle ucraine che, incuranti delle continue oppressioni, dei missili russi che continuano a cadere, hanno costruito con il nostro piccolo contributo una minuscola oasi di pace, per far giocare i bambini, per offrire uno spazio caldo agli studenti con stufe di ultima generazione e consentire alle famiglie di incontrarsi in un posto in cui l’elettricità non si stacca a causa dei vili attacchi alle centrali elettriche, perché ci sono i microgeneratori solari ed un generatore di 13 kw collegato.

L’Europa dovrebbe essere qui a Brovary, tutta intera, perché è solo da questo spirito che può rinascere il suo ideale di una unione politica. Ma non le istituzioni europee, i popoli dovrebbero essere tutti qui, ora ci andiamo noi, saremo solo diciotto a spingere questa altalena nel parco, ma la speranza che accenderemo sarà a nome di tutte e tutti gli europei e gli ucraini che si ostinano a non perdere la speranza.